Nove ore al Pronto Soccorso di Polla (SA). La vergogna delle bugie e la mediocrità della politica.

Polla (SA) - Può capitare a tutti. E’ capitato a me. Ti svegli una mattina, un dolore forte, lancinante, al petto. Lo spavento ma anche la responsabilità di non far trapelare a chi ti sta intorno la preoccupazione. Quindi ti rechi di gran lena dal medico curante. Una visita, le domande di circostanza. Poi la decisione: “vai al pronto soccorso; meglio verificare con maggiore attenzione questi sintomi”. Ti metti in macchina e per quel che puoi, corri. Destinazione Polla. Fai prima che puoi; quindi varchi la soglia del “Luigi Curto” per anni un punto di riferimento per la sanità nel salernitano. Ma qui inizia la storia senza fine del degrado in cui è sprofondata la sanità del Vallo di Diano. Ma andiamo per ordine. Appena entro, mi metto in coda per il necessario Triage , dove l'infermiera di turno, ti ascolta e poi assegna un codice colore provvisorio per la priorità all'accesso alle sale visita. C’è confusione, mi giro, colgo la presenza di almeno 24 persone in attesa. Sono le 10,05 di mattina. Mi sposto ed attendo il mio turno. Intanto arrivano, arrivano, altri pazienti. Un operaio con una lacerazione ad una mano; l’ambulanza del 118 con un anziano. E poi ancora, una signora con il figlio. Passa il tempo. E’ già trascorsa un’ora. L’infermiera sembra quasi impazzire, un via vai dalla sua postazione verso l’interno del reparto di pronto soccorso. Il tempo passa. Il dolore è costante; mi preoccupo. E’ trascorsa oramai un’altra abbondante mezzora. “Venga, si accomodi” mi sento dire. Due sale, due medici; quattro infermieri. Una grande cortesia, grande professionalità. Prelievi; elettrocardiogramma e così via. Insomma la dottoressa Petrone fa certo il suo lavoro. Intanto nella sala mi giro e mi accorgo che siamo in tre sui lettini; poi una ragazza su una sedia. Nel frattempo arriva un anziano sulla sedia a rotelle. Viene “parcheggiato” di fianco la mia lettiga. Passa il tempo. Io sono sereno, sono in buone mani. Arriva un altro anziano in lettiga, accompagnato dai volontari della Croce Rossa. “Senta si alza per favore; si può sedere sulla sedia; mi serve con urgenza la lettiga”. In un modo garbato l’infermiera chiede all’anziano disteso di fianco la mia postazione di spostarsi. Ora siamo in cinque. Sono le 12,30. Disteso, i pensieri vagano. Ma la confusione che c’è nel reparto mi distrae. “Non so cosa fare – sento dire ad una voce maschile nell’altra saletta – a questo punto abbiamo già gestito 45 persone; ora sono in 16 che non so come sistemarli”. Sistemarli, mi chiedo: che significa? “ Ma io la conosco, lei è il giornalista” mi dice la dottoressa Petrone. Io confermo. “ha visto in che situazione siamo costretti ad operare? Qui siamo al collasso e nessuno sembra voler trovare rimedio” aggiunge il medico. Nel frattempo mi toglie gli elettrodi dal petto. “Ora si può alzare; c’è da attendere. Fra quattro ore ripetiamo le analisi. Stia tranquillo però” mi rassicura. Trascorro quindi ben quattro ore in quella sala; ascolto e guardo. Poi parlo. Mi avvicino all’altra saletta. Dietro la scrivania, intento a scrivere un referto, il dottor Tullio Trotta. “Ci scusi per il disagio e per la confusione alla quale sta assistendo; ma questa qui è la normalità di ogni giorno. Siamo al collasso” afferma il medico. Sono le 14,00. “Ora la collega va via; da questo momento per le prossime ore sarò solo – aggiunge Trotta – un solo medico ed i miei collaboratori che certo fanno del loro meglio. Hanno distrutto questo Ospedale, nel silenzio dei dirigenti e nell’indifferenza della politica”. Chi, ha distrutto questo ospedale dottore, gli chiedo. “Chi ha interesse a dire che qui va tutto bene mentre in realtà qui va tutto malissimo – afferma quasi adirato – io non so a chi conviene che questo ospedale non funzioni più; fatto sta che oramai abbiamo toccato e superato il fondo. Da un bel po’ di tempo”. Parla, scrive; si alza e si avvicina ad una delle due lettighe. “In questo momento non vi è nemmeno un posto letto disponibile in questo ospedale. Questo ragazzo- così dicendo si avvicina ad un’adolescente sdraiato in lettiga – ha un’appendicite; va ricoverato con urgenza. Qui però non c’è posto. Ora stiamo aspettando che arrivi la madre per vedere se accettano di andare presso l’ospedale Immacolata di Sapri, dove siamo riusciti a trovare un posto. Pensi che questo è quello che facciamo anche con gli anziani che già arrivano smarriti qui, a Polla ed ai quali noi diciamo, si lei si deve ricoverare; ma il posto è a Benevento; ad Avellino; a Vallo della Lucania. Lei provi a pensare qual è la reazione degli stessi anziani, spesso accompagnati dai loro compagni, ugualmente anziani”. Sono le 18,30. L’ambulanza parte per Sapri. La famiglia dell’adolescente non ha potuto rifiutare, visto le condizioni del giovane. Il padre mi si avvicina. “Ha visto? Mi chiede. Ora mia moglie dovrà lasciare gli altri ragazzini che abbiamo a casa senza che nessuno li possa badare. Noi siamo di Caggiano. Se mio figlio veniva ricoverato qui, a Polla, per noi era certo una grande comodità. In dieci minuti, mia moglie poteva fare la spola da casa. Così invece”. Intanto il suono delle sirene si allontana. “Ecco i risultati; ora può andare” mi dice il dottor Trotta. “Ci scusi ancora; qui facciamo del nostro meglio”. Mi stringe la mano. A questo punto esco dall’ospedale e stranamente mi ritornano alla mente i tanti proclami, i tanti discorsi, che Consiglieri regionali, Consiglieri provinciali, sindaci, direttori amministrativi, manager, e chi più ne ha più ne metta, pronunciano sulla sanità in Campania, nel salernitano, nel Vallo di Diano. Quante parole; quante bugie. Quindi mi viene spontaneo pensare che, forse, l’augurio che posso formulare a questi signori è certo: “spero che domani mattina vi possiate svegliare con un dolore al petto e per questo vi dobbiate recare al pronto soccorso di Polla”. Ecco, poi, allora, forse potrete parlare di sanità nel Vallo di Diano. Intanto, al dottore Trotta, alla dottoressa Petrone, agli infermieri: “grazie, non mollate”. Note: di Lorenzo Peluso.

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