Dopo la proroga di un anno dal 1° gennaio 2011 è entrato finalmente in vigore il divieto di commercializzazione di sacchi per l’asporto delle merci che non risultino biodegradabili, restano ancora però - a un mese dall’entrata in vigore - molti punti da chiarire.
Il primo problema riguarda l’emanazione dei decreti attuativi che non sarebbero strettamente necessari affinché il divieto entri in vigore, ma senz’altro semplificherebbero i numerosi tentativi di decifrare il provvedimento che si rincorrono nelle ultime settimane. Appurato che - come dichiarato dal Ministero dello Sviluppo Economico - forma, dimensioni e spessore del sacco per l’asporto merci non sono rilevanti ai fini della messa al bando, resta da capire come vadano inquadrati i “sacchetti intermedi”, quelli che si trovano al reparto ortofrutta. Sicuramente sono sacchi non biodegradabili, ma sono considerati da asporto merci? Non trattandosi di imballi caratterizzati dall’asporto come destinazione d’uso primaria potrebbero essere esclusi dal bando. Un altro punto che resta ancora da chiarire è il destino delle giacenze che si ritrovano i produttori, se per i commercianti il Ministero dell’Ambiente - con comunicato stampa del 30 dicembre u.s. - ha chiarito che le scorte acquistate entro il 31 dicembre 2010 potranno ancora essere “smaltite” a condizione che la cessione sia operata in favore dei consumatori ed esclusivamente a titolo gratuito, lo stesso non vale per chi i sacchetti li produce. Per quanto riguarda le sanzioni, mai specificate dalla legge 296/06, saranno le amministrazioni locali a stabilirle o si dovrà attendere un sanzionamento uniforme a livello nazionale? Si tratta di capire se ci saranno gli annunciati ricorsi al TAR e che esito avranno, anche perché siamo nell’imbarazzo di trovarci davanti ad un comunicato stampa che interpreta la legge. Inoltre, con la messa al bando dei sacchetti di polietilene è emerso anche il dibattito sulla definizione di biodegradabile e sull’utilizzo di additivi che permettono la degradazione del sacchetto. A tal proposito l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha richiesto una consulenza tecnica all’Istituto Superiore di Sanità: “La biodegradabilità - afferma l’ISS - è un requisito necessario, ma non sufficiente affinché un manufatto sia compostabile, mentre un manufatto può essere considerato compostabile per il solo fatto di disintegrarsi in modo tale da non ostacolare il processo di compostaggio stesso (vedi definizione norma UNI EN 13432). L’ISS ritiene quindi che le materie plastiche additivate con ECM, non risultano compatibili con il processo di compostaggio in quanto non subiscono idoneo fenomeno di disintegrazione, come richiede la sopracitata norma. L’ISS ritiene che sia "necessario mantenere distinti i concetti di biodegradabilità e di compostabilità e poter "graduare" la biodegradabilità”. Infine, dal 25 dicembre 2010 è entrato in vigore il D.Lgs. n. 205/2010 che all’art. 182-ter prevede che la raccolta dell’organico venga fatta: “con contenitori a svuotamento riutilizzabili o con sacchetti compostabili certificati a norma UNI EN 13432-2002”.
Insomma, occorre fare attenzione, il sacchetto biodegradabile ovviamente si degrada, ma rilascia comunque nell’ambiente piccole percentuali di petrolio. La messa al bando dei sacchetti in plastica è sicuramente un segno di civiltà e i sacchetti biodegradabili sono sicuramente un passo avanti, così come quelli di carta, ma l’unica scelta davvero sostenibile per l’ambiente è il riutilizzabile: la borsa di cotone, di juta o di stoffa. In conclusione, è evidente che l’emanazione dei decreti attuativi interministeriali - previsti e non emanati - faciliterebbero il compito, attendiamo quindi di vedere come la fervida creatività del nostro Governo possa risolvere il pastrocchio, incrociamo le dita e rimaniamo in attesa di buone nuove.
avv. Gerardo Calabrese
Assessore alle Politiche Ecologiche ed Ambientali
Comune di Salerno
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