Cambiare si può, recita uno spot pubblicitario di un’azienda che in Emilia Romagna si occupa di prodotti biologici, invitando i clienti a fare scelte oculate ed aggiungendo che tale possibilità “è scientificamente provata”. Cambiare si può recitava lo slogan di una “gioiosa compagnia” candidata ad amministrare il Comune di Sassano. Libera, indipendente, giovane e ufficialmente senza “padrone”. E, non era uno spot promozionale ma, doveva essere l’iniezione di una nuova filosofia e comportamenti nella gestione della cosa pubblica, di cui si sarebbero dovuti beneficiare i cittadini.
Già, i cittadini, cioè un insieme di persone, una comunità originaria di un determinato luogo o stato, ed in favore dei quali chi si candida ad amministrare dovrebbe tutelare gli interessi comuni, cioè di tutti. Indipendentemente dal loro orientamento politico, dall’espressione della propria preferenza elettorale, di appartenenza familiare, di razza o di amicizie particolari ed aziendali. Magari ponendo in essere politiche ed iniziative di discriminazione positiva.
Ed in questi ultimi mesi, in diverse occasioni, e non solo nei commenti domenicali della piazza, ci si è cominciati a chiedere dove dimorasse questo cambiamento, quali fossero i comportamenti amministrativi eticamente diversi da quelli posti in essere negli ultimi anni, quali fossero le ragioni per rimangiarsi convincimenti e timori, ammettendo, per il bene del territorio di essersi sbagliati. Ammettiamo che un po’ di disorientamento c’è. Non sappiamo se il giudizio vada espresso su ciò che è tangibile concretamente e materialmente o su cambiamenti intangibili, il cui valore si apprezzerà nel tempo, ma che ad oggi si fa fatica ad immaginare. Perciò scegliamo un metodo elementare di ragionamento. Ci fidiamo solo di ciò che in giro vediamo e sentiamo. Sperando di essere presto smentiti.
E, cosa si vede in giro che non esistesse già e che in una logica di riordino domestico doveva, quantomeno essere ripulito? Quando uno entra in un nuovo appartamento o casa (presa in affitto non comprata), anche se ammobiliato, verifica consumi e utenze, magari cambia la collocazione dei mobili, ne spazza via quantomeno la polvere, ripulisce, igienizza l’ambiente, cambia qualche lampadina che non “fa luce” ecc. prima di occupare la poltrona più comoda o garantirla all’ospite di turno. E’ un comportamento elementare di buonsenso o “igienico”. Ed invece…
Le nuove tecnologie, nonostante il consigliere ad hoc , restano solo l’annuncio della campagna elettorale, il sito istituzionale è ben lontano dall’essere uno strumento informativo e di trasparenza ed è stato trasformato solo in uno strumento di promozione della giunta e di pubblicità gratuita ( i dati sono vecchi di anni e i riferimenti inutili), e se si fa una richiesta per e- mail nemmeno rispondono. L’ecomostro è sempre più una testimonianza inquietante “dell’alto senso di rispetto” che hanno per il centro storico e per l’ambiente. Invece di decidere il da farsi, senza se e senza ma, e senza cercare di coprire irresponsabilità decisionali del passato, navigano tra proposte degne della peggior satira (demolirne un pezzo, farne un centro formativo) o che rasentano il confine del ridicolo (farne un belvedere) a testimonianza della scarsa lucidità e capacità decisionale, badando bene dal prendere qualsivoglia posizione chiara e responsabile. L’area PIP, è un monumento all’abbandono, con strade dissestate e trasformata in discarica abusiva - ove non manca il solito “cesso” (un altro o lo stesso che per anni ha dimorato sotto l’ecomostro?)- e l’ unico risultato è stato quello di disboscare il poco verde protetto rimasto che, si dice, per stessa ammissione di qualche amministratore in una riunione con imprenditori “potenzialmente” interessati, ha visto la costruzione di strutture inutilizzabili la cui regolarità è stata formalmente certificata e puntualmente liquidata a chi ha eseguito i lavori. Siamo di fronte alla conoscenza di qualche reato? Gli amministratori sono a conoscenza di fatti e procedure che dovrebbero essere messe a disposizione della magistratura? Chi ha eseguito i lavori? Chi li ha appaltati? Chi ha certificato la regolarità degli stessi? Su quali basi, se esistono opere inutilizzabili, è stata autorizzata la liquidazione del saldo? Sono domande, solo domande a cui, per dovere di trasparenza sarebbe meglio dare una risposta.
Il bilancio comunale rappresenta, ad oggi, una delle matasse più problematiche per gli amministratori con dichiarazioni contraddittorie che si rincorrono ed il cui unico merito è quello di aumentare la “poca trasparenza” attorno alla gestione amministrativa. Il “comune ha un deficit di 1,3 mln di €” dice qualcuno, “il bilancio è stato lasciato in ordine” dice qualcun altro. Non “si sa come coprire le uscite afferma un terzo”. Ed intanto mentre il malato muore i medici, e i luminari sono tanti, continuano a discutere, sperando che qualcuno si “trasformi in Dott. Balanzone” e riesca a trovare la quadra che, coerentemente con il proverbio, salvi le “capre” responsabili delle gestioni passate, con i “cavoli” che dovranno assumersi la responsabilità di gestione dell’immediato futuro. Ed a pagare? I soliti, cioè la gente. Vedremo nelle prossime settimane cosa succederà. Intanto negli ultimi mesi, a fronte di un bilancio, presumibilmente in grave sofferenza e difficilmente gestibile, sono stati assegnati, per soddisfare una sicura priorità, ulteriori incarichi di consulenza. Erano proprio necessari? Sono eticamente corretti? E la copertura finanziaria da quali capitoli di spesa è assicurata? Comunque, basta aver voglia di girare per le strade del centro storico, togliersi le fette di rancida mortadella posta sugli occhi, e rendersi conto di come, passato il periodo elettorale, i cantieri sono stati abbandonati, le canalizzazioni lasciate scoperte, intere aree, piazze e strade, destinate a deposito di materiale edile concesso alle ditte esecutrici e tolte al pubblico utilizzo. L’amministrazione afferma di essersi accorta, dopo mesi, che l’unica palestra esistente non era fruibile agli studenti. E ci si chiede se esista in amministrazione un assessore responsabile, un ufficio di riferimento che monitori lo stato dei lavori, o se siamo in presenza di altre figure virtuali come il consigliere alle tecnologie. Il cambiamento poi, doveva essere testimoniato da un coinvolgimento ampio e disinteressato, da una democrazia partecipata, a detta di qualcuno. Nei fatti si è assistito alla creazione di consulte al femminile dove, pare, proprio la signora democrazia fosse assente giustificata, i risultati preconfezionati, e ciò solo perché … “quelle del centro storico non appaiono particolarmente interessate”… “non si informano”. Mica per altro. Pare che, il paese, secondo l’analisi sociologica di qualcuno sia diviso in due … Da una parte “sono concentrate” persone evolute, geneticamente superiori, bella presenza, che girano il mondo, parlano le lingue ed un corretto italiano, altamente acculturate ed in grado di confrontarsi con il futuro e tenere paritariamente testa al genere maschile … Dall’altra, forse per una questione di altitudine, persone che non sono capaci di informarsi, non sanno come si partecipa a riunioni democraticamente indette online, culturalmente non all’altezza del futuro che qualcuno vuole costruire per la comunità e che si esprimono in una lingua rozza e incomprensibile. In poche parole un peso. Salvo, poi, ripensarci e riorganizzare il tutto. Era solo per una mancata capacità di apprezzamento della democrazia partecipata da parte della “fetta di cittadinanza più arretrata”, o per un abortito, rozzo e goffo tentativo di controllo e condizionamento?
Ma ciò su cui ci si dovrebbe porre una domanda è, comunque, “l’alto esempio di interesse allo sviluppo del territorio” che si è sostanziato con la “donazione” dell’aula consiliare (un fatto) ad una azienda privata per una giornata di formazione (non notizia) dei dipendenti. Ci si chiede sulla base di quale principio l’amministrazione, che è anche autorevolmente rappresentata in c.d.a. (o il c.d.a. in amministrazione), l’ha messa a disposizione dell’azienda che ha monopolizzato in questi mesi la sponsorizzazione delle attività e manifestazioni pubbliche, apponendo ovunque il proprio logo. Cosa c’entra l’istituto di credito locale con l’amministrazione? Era proprio necessario mettere a disposizione uno spazio di tutti solo per un uso esclusivo di uno? Chi ha coperto i costi del personale ed utenze per l’utilizzazione in orario non di ufficio? E se altre aziende hanno bisogno di fare formazione privata per i propri dipendenti l’amministrazione mette lo spazio ugualmente a disposizione? Si dimostra altrettanto disponibile? Se ne accolla il costo per tenerla aperta? Ne possono usufruire indistintamente, e senza ragione di appartenenza politica tutte le aziende presenti sul territorio? O si è voluto lanciare un ulteriore messaggio a chi non vuol capire che il “padrone che comanda” è cambiato, testimoniandolo attraverso l’insistenza delle “veline” televisive, così come si ostinavano a documentare?
Sono solo ragionamenti, flash di alcuni fatti e comportamenti, quantomeno incoerenti con le enunciazioni dei mesi passati e l’elenco di buone intenzioni urlate sulle piazze. Vorremmo sbagliarci, percepire (in modo tangibile) una presenza sul territorio, non limitata ai week end, che non sia fatta di annunci spot da dare in pasto ai creduloni, ma da fatti concreti posti in essere non da chi crede di essere un padrone ma da amministratori, lautamente indennizzati, che non “corrano dietro al giullare” di turno, che ne disturba il sonno.
In attesa che gli alberi di Natale (a proposito sono di vivaio o sradicati da qualche bosco locale?)accendano le loro luci, vorremmo ricrederci e non pensare che “cambiare si può” è solo uno spot che, come nelle migliori pubblicità, non può non illudere e, di conseguenza deludere, come il sapore di un piatto di pasta scaduta… Per la Befana c’è tempo.
Nicola Trotta
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